Cartolina da Milano

23 marzo 2011

A Milano, se c’è qualcosa che non manca sono cartelli, insegne e pubblicità di ogni genere, formato e tipo. Questo sulla destra è un esempio di coabitazione politica in suolo pubblico. Percorro questa strada ogni giorno (siamo all’incrocio via Ripamonti- via Quaranta) e questo tratto ha subito dei piccoli mutamenti, ultimamente. All’inizio vi erano i lavori, vedi rete arancione. Poi comparve la Moratti, addobbata con caschetto protettivo. E, infine, toccò al cartello fatto in casa, il quale, ieri figurava attaccato grossolanamente alla rete arancione, mentre oggi godeva di una posizione di rilievo, al fianco (anzi prima) del sindaco. L’accostamento delle sue figure è curioso. La Moratti è incorniciata nella teca di plexiglas, in un punto della città che non è sicuramente chic ma alla portata di tutti. E poi, da brava donna di mestieri è collocata proprio vicino ad un cantiere. Il cartello fatto a mano è attaccato al palo, messo in posizione strategica, scritto su entrambe le facciate, entra a far parte del traffico, del movimento mattutino. L’Italia è rossa, un pò per l’imbarazzo e un pò perché è in bolletta. Ma dell’imbarazzo ce ne freghiamo, è un sentimento che alla lunga rompe il cazzo. Gli scandali non son belli finché durano. Gli scandali stuccano. Berlusconi ha capito bene una cosa che un tempo urlavano i rossi “Ora e per sempre resistenza”. Quanto alla bolletta poi, ci pensa il debito. Si scrocca finché si può.

Ma volevo soffermarmi un attimo sul sindaco uscente e in particolare su questa foto. Me la sono immaginata nello studio del fotografo. Me la vedo che segue le indicazioni e un pò improvvisa, come fanno le fotomodelle. Vedo i fotogrammi di lei seria, di profilo, testa giù, testa su, spavalda, musetto da cerbiatta, sindaco intrigante, sindaco serio, il lavoro è una cosa seria, brava così! Non ti muovere, naturale ecco, il sindaco che tutti vorrebbero, il sindaco che sorride, si bene così, sorriso, perfetto…anche questo, benissimo, aggiusta un pò la piega, tocca il cappello, no! Sfioralo, con classe…così, è un cappello che farà tendenza, la tua linea, brava, bene il sorriso, ancora, che vitalità, sindaco! Sorridi alle persone, ai tuoi milanesi, ti guardano… pensa all’EXPO, ti ricorda qualcosa? Ecco, il sorriso… questo è un sorriso convincente! Sei grandiosa.

Vedete spalancarsi il futuro dalle labbra di Letizia?

Soluzione del giochino

22 marzo 2011

 

Se vi siete spremuti per bene, se avete provato in tutti i modi, in tutti i laghi e in tutti i luoghi ad unire i 9 puntini senza ottenere il risultato sperato; se avete gironzolato in rete in cerca della soluzione senza trovare alcunché siete stati sicuramente bravi. Il punto, anzi, uno dei punti è il seguente: bisogna, ogni tanto, scardinare e uscire dagli schemi, scavalcare i limiti imposti, cambiare, trovare soluzioni alternative, sbagliare. La nascita del dubbio, l’ansia dell’errore…

<<(…) se e quando volete adottare un modo di ascoltare/osservare fenomenologico, eliminate il verbo essere dal vostro vocabolario. Al limite non dovete pensare: “Questa è una sedia, questo è un tavolo”, ma “Vedo questa come una sedia, vedo questo come un tavolo”. Mi rendo conto che sembra ridicolo, ma aiuta ad usare fin dall’inizio un linguaggio che non escluda che potremmo vedere le cose anche secondo delle Gestalt diverse. Il predicato “è” esclude, irrigidisce. Invece “Adesso lo vedo così, ma…” ci induce a essere leggeri, flessibili, disponibili all’esplorazione di altri modi possibili>>.

Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili, Mondadori, Milano, 2003

 

Tonight, tonight

17 marzo 2011

Dall’album Mellon Collie and the Infinite Sadness (1996)

I pesci

9 marzo 2011

Uno dei miei piaceri più grandi consiste nel guardare i pesci morti. Al mercato, dal pescivendolo, al supermercato, all’ipermercato, al ristorante. Non appena vedo un banchetto mi ci fiondo, e non compro quasi mai niente. Mi piace guardarli. Infatti è molto difficile spiegare questa cosa a chi li vende. Se si accorgono di te al banco, iniziano a proporteli un pò tutti, giustamente. E allora vado via infastidita, o li guardo da lontano. Non li compro perché non li so cucinare e anche perché mi piace vederli solo nel loro banchetto. I pesci solitari nel mio lavello non mi entusiasmano granché. Non mi piace toccarli, ho sempre il timore che in realtà siano vivi. Mi piace mangiare seppie, orate, polpi, tonno, gamberi, aragoste, cozze, vongole, gattucci, calamari, sgombri. Non mi piace mangiare murene, scorfani, granchi, conchiglie, ricci, sardine, alici, ostriche, anguille, razze. Preferisco sempre che li cucini mio padre o mia madre. Vincono su tutti i ristoranti di pesce in cui ho mai mangiato. Da piccola accompagnavo mio padre a pescare, io con la maschera, lui con il fucile e tutto l’armamentario da pesca. Adesso ho un pò paura delle immersioni, mi viene il panico. Con la maschera non si può guardare ovunque. E io mi giro in continuazione, perché ho il terrore che qualche pesce mi aggredisca alle spalle. Al mare indosso sempre delle scarpe per entrare in acqua, perché ho paura che qualche pesce nascosto nella sabbia mi punga un piede. E comunque alla spiaggia preferisco gli scogli. Ho paura dei pesci ma li ammiro. Li guardo incredula ogni volta, sono figli della solitudine del mare. Immagino le barche uscire la notte, immagino i pescatori nel buio del mare, in mezzo al nulla, solo loro sanno dove andare.

Mi viene in mente un libro di Franco Solinas, Squarciò. Gillo Pontecorvo ne ha fatto un film, La grande strada azzurra (1957)